Sla, la stimolazione cerebrale può rallentare la malattia
Studio, può ritardare il bisogno di ventilazione meccanica
Una forma di stimolazione magnetica cerebrale, non invasiva e indolore, potrebbe rallentare la progressione della sclerosi laterale amiotrofica. È il risultato di una sperimentazione condotta da ricercatori della Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico e della Fondazione Irccs Istituto Auxologico Italiano i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Lancet Regional Health Europe. La sperimentazione ha coinvolto 40 pazienti con Sla che, a partire dal 2019, sono stati sottoposti a stimolazione magnetica cerebrale transcranica statica. Questa tecnica utilizza campi magnetici per modulare l'eccitabilità delle cellule nervose. In tal modo corregge l'ipereccitabilità che si ritiene porti alla morte dei neuroni motori nei pazienti con Sla. Dopo 24 mesi di trattamento, oltre il 70% dei pazienti che ha ricevuto il trattamento è sopravvissuto senza necessità di ricorrere alla ventilazione meccanica, a fronte del 35% di quelli che non lo avevano ricevuto. "Si tratta di una differenza significativa che ci fa essere ottimisti, ma che deve essere considerata con prudenza: non possiamo concludere di aver trovato la cura della Sla", afferma Vincenzo Di Lazzaro, direttore della Neurologia della Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico. "Possiamo tuttavia affermare con sicurezza che sono pienamente giustificati ulteriori studi che valutino l'efficacia della stimolazione magnetica statica in un maggiore numero di pazienti e con un periodo di trattamento prolungato". Il nuovo trattamento potrebbe in futuro affiancare i farmaci. "L'elettroceutica si dimostra una componente imprescindibile per una combinazione terapeutica che molti ritengono rappresentare la soluzione definitiva per una malattia caratterizzata da diversi momenti patogenetici", commenta Vincenzo Silani, direttore del dipartimento di Neuroscienze della Fondazione IRCCS Istituto Auxologico Italiano - Centro "Dino Ferrari" dell'Università degli Studi di Milano. "Le future strategie terapeutiche dovranno adeguatamente tenere in conto i dati prodotti con questo studio".
H.Jimenez--LGdM