La Gaceta De Mexico - Primo test per la tecnica di stimolazione cerebrale non invasiva

Primo test per la tecnica di stimolazione cerebrale non invasiva
Primo test per la tecnica di stimolazione cerebrale non invasiva

Primo test per la tecnica di stimolazione cerebrale non invasiva

Per combattere dipendenze e depressione

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È stata sperimentata con successo per la prima volta una nuova tecnica di stimolazione cerebrale profonda ma non invasiva, che potrebbe portare a terapie per combattere patologie neurologiche come dipendenze, depressione e disturbi ossessivi compulsivi, notoriamente complicate da trattare a causa della difficoltà di arrivare alle strutture cerebrali profonde senza ricorrere alla chirurgia. Il risultato, pubblicato sulla rivista Nature Human Behaviour, è stato ottenuto dal gruppo di ricercatori del Politecnico Federale svizzero di Losanna (Epfl) coordinato da Friedhelm Hummel. "La stimolazione cerebrale profonda invasiva è già stata applicata con successo per diversi disturbi", dice Hummel. "La differenza fondamentale con il nostro approccio è che non è invasivo, il che significa che utilizziamo una stimolazione elettrica di basso livello sul cuoio capelluto per colpire queste regioni". Fino ad ora, questo approccio non funzionava perché i campi elettrici così applicati stimolano indiscriminatamente tutte le regioni del cervello, rendendo inefficace il trattamento, ma gli autori dello studio che vede come primo firmatario Pierre Vassiliadis hanno trovato il modo di stimolare in maniera specifica solo le aree cerebrali di interesse. La tecnica innovativa si basa sul concetto di interferenza temporale: in pratica, sul cranio vengono applicate 2 paia di elettrodi impostate su frequenze leggermente diverse e posizionate in modo da garantire che il loro segnale si incontri nella regione del cervello da colpire. È qui che avviene la magia dell'interferenza: la piccola differenza tra le due correnti si traduce in una frequenza efficace per stimolare il punto desiderato senza disturbare le aree circostanti. Per ora, i ricercatori si sono focalizzati sull'alterazione del normale funzionamento di alcune strutture profonde, ma puntano anche ad aumentare alcune funzioni cerebrali.

E.Sanchez--LGdM