La storica, 'i disertori tra autolesionismo e camuffamenti'
Eugenia Tognotti parla della Grande Guerra in Campo di battaglia
(di Chiara Venuto) "Chi arriva qui o è un valoroso, o è un vigliacco". Sono le parole di Stefano, l'ufficiale medico più rigido e intollerante dei due protagonisti di Campo di Battaglia di Gianni Amelio, presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia e in sala con 01 Distribution. Per il personaggio, interpretato da Gabriel Montesi, i soldati che si provocano ferite e mutilazioni pur di sfuggire al fronte della prima guerra mondiale sono dei vili. Eppure, furono tantissimi. "Secondo alcune stime le condanne per autolesionismo pronunciate dai tribunali militari furono circa diecimila", spiega all'ANSA la storica della medicina Eugenia Tognotti, docente all'università di Sassari. "Un numero elevatissimo di giovani uomini era disposto a spararsi ad un piede o a una mano, a schiacciarsi un arto o a procurarsi malattie gravissime per scampare alla morte - racconta -, un fenomeno che cominciò ad espandersi dopo la seconda battaglia dell'Isonzo (metà del 1915)". Proprio come nel film di Amelio, "col tempo i medici militari impararono a riconoscere l'origine di cecità momentanee, di piaghe procurate da iniezioni di olio di vaselina, petrolio o essenza di trementina, di congiuntiviti prodotte da varie sostanze", commenta. Ma non erano solo questi gli escamotage dei soldati. Tra le vie di fuga più curiose, la stessa usata da Achille per evitare la guerra di Troia: "il travestitismo", rivela Tognotti. Secondo il mito, l'eroe si era camuffato da ragazza alla corte del re Licomede. Allo stesso modo, anche i giovani durante la Grande Guerra. Non c'è da stupirsi se in tanti provarono a non andare al fronte. Solo tra i militari, i caduti italiani furono circa 650mila. Tra i sopravvissuti, "si stima che circa 40mila uomini con disturbi mentali finirono ricoverati nei manicomi statali - afferma la docente - mentre un numero imprecisato, ma cospicuo, fece ritorno alle proprie case". Passarono alla storia come 'scemi di guerra': dopo il conflitto, prosegue, "la psichiatria moderna acquisì l'idea che lo stress della guerra poteva arrivare a fare impazzire i soldati", ovvero a farli ammalare di disturbo da stress post-traumatico, come diremmo oggi. Anche chi cercava di non tornare sul campo di battaglia, a un certo punto dovette però affrontare un nemico invisibile. L'altro grande tema del film di Amelio è infatti l'influenza spagnola, che influì decisamente sull'andamento della guerra e "colpì tutti i fronti", afferma Tognotti. "In Italia il ritardo nel comunicare l'emergenza favorì la diffusione del virus", continua, così all'impreparazione degli scienziati a questa novità "si aggiunse la censura che pesava sulla stampa e l'esitazione del governo a informare correttamente sulla gravità della malattia". Una malattia che segnò il futuro anche dopo la fine della guerra. Il presidente statunitense Thomas Woodrow Wilson, "impegnato a Parigi nei primi mesi del 1919 nel negoziato per la pace tra la Germania e le potenze vincitrici, era sopraffatto dall'influenza (nella sua terza ondata) quando firmò il trattato di Versailles - conclude Tognotti -. A quella indisposizione alcuni osservatori attribuiscono il fallimento del suo tentativo di ottenere clausole meno punitive per la Germania, cosa che avrebbe potuto impedire la seconda guerra mondiale". Campo di Battaglia, interpretato anche da Alessandro Borghi e Federica Rossellini, è una produzione Kavac Film, IBC Movie, One Art con Rai Cinema con la collaborazione di Regione Friuli-Venezia Giulia, Friuli-Venezia Giulia Film Commission e in collaborazione con Trentino Film Commission.
P.Ortega--LGdM